A+ A A-

da Democrazia proletaria n.6/1984

E' in corso una polemica fra gli Usa e gli stati europei, con al centro la questione del rinnovamento dell'armamento di questi ultimi. L'industria bellica europea preme sul concetto di un'Europa quale terza forza politica, economica e quindi anche militare, proprio per un problema di interesse economico diretto, perché è in corso il rifacimento di tutto l'armamento europeo. Per inciso, da un punto di vista strategico militare, un'identità da terza forza non ha nei fatti alcuna credibilità, visto che poi tutto l'armamento di tipo nucleare è gestito dagli americani e quindi non consente sbocchi di sorta.

Ciò che parallelamente viene messo in evidenza un po' da tutta la stampa 'ufficiale' è questa crisi dell'Europa e la sua irrisolvibile conflittualità, immobilità e in ultima analisi inutilità. Lo sbocco sottinteso è la costruzione di un'Europa su di un piano politico più alto, che immediatamente comporta l'unificazione dei mercati, delle istituzioni e quindi anche delle forze armate. In questa polemica si inseriscono anche i vari generali europei, a cominciare da quelli tedeschi, per finire al nostro generale Capuzzo che, intervenendo in un convegno dell'Istri (Istituto per lo studio delle strategie militari) ha fatto questo ragionamento: noi rispettiamo le alleanze, l'ombrello atomico americano, però non possiamo accettare una dipendenza sul piano degli armamenti.

Un'ulteriore occasione per ribadire questo 'orgoglio europeista' è offerto in questi giorni dal crescere delle tensioni nel Golfo persico, che a qualcuno ha già fatto ipotizzare un possibile intervento militare dell'Europa, volto a dimostrare una propria autonoma capacità operativa. Viene da sé che questa ipotesi ha 'bisogno' di un riassetto della Marina e degli armamenti in generale. La Nato, dal canto suo, sostiene la necessità di uno sviluppo della forza militare tradizionale, a latere di una trattativa fra le superpotenze in tema di missili nucleari. Su questo fronte troviamo anche il Pci, non solo in quanto favorevole alla Nato e a tutte le debite conseguenze, ma addirittura quale uno dei massimi fautori dell'industria bellica italiana a partire dal dopoguerra: basta vedere come nei cantieri navali liguri e di Trieste il Pci abbia favorito fin da allora una riconversione verso l'industria bellica e come tutt'oggi non si discosti dagli altri partiti (su questo tema esiste una sorta di superpartito in cui ci sono dentro tutti) sostenendo che 'dobbiamo rinnovare l'armamento, dobbiamo renderlo più efficiente e più efficace'.

La riconversione al contrario che c'è stata, ha provocato la crisi dei cantieri navali, la stessa crisi dell'Agusta che è venuta specializzandosi in elicotteri militari, abbandonando tutta la produzione civile su cui tra l'altro esisteva una tradizione di validità tecnologica. Poi si arriva all'assurdità che l'Alitalia riuniva tutto il parco aerei, commissionandone la fornitura (30 mila miliardi) agli americani perché in Italia nessuno è in grado di produrli. L'appoggio del Pci è stato determinante anche per l'approvazione di tutte le leggi speciali che sono servite a finanziare in questi anni il rinnovamento del sistema militare italiano. Solo recentemente ha votato contro l'Amx quale sistema d'arma, più per una questione di irrazionalità della spesa che non per un qualche accenno di volontà disarmista, che d'altronde non ha mai avuto.

Alla luce di queste considerazioni, la battaglia pacifista non può trascurare nel proprio orizzonte il problema della riconversione dell'industria bellica, come non può tacere sulla Nato, con tutto ciò che implica in termini di vincoli militari, o sull'esistenza nel nostro Paese di ben 1500 testate nucleari, altrimenti Comiso diventa un'occasione strumentale, di facciata. In questo senso non possiamo avallare il 'pacifismo' del Pci che isola appunto la battaglia contro i missili a Comiso dal resto dei problemi e anzi, all'interno dell'industria bellica, ha un ruolo di punta, propulsivo, rivolto a un'industria europea sempre più all'altezza dei mercati internazionali.

La battaglia per la pace va riportata sul piano europeo perché è proprio dai problemi posti dalla Nato, dai missili già istallati, da questa nascita di una 'forza militare autonoma' che occorre partire.

Collegato a questo discorso vi è il problema del Terzo mondo e dell'internazionalismo. L'Italia è il quarto paese esportatore di armi nel mondo ed il terzo verso i paesi del Terzo mondo, subito dopo Usa e Urss. E' da sottolineare che tutta la produzione italiana di armi è di media qualità e funzionale ad un uso antiguerriglia, non di tipo strategico. In pratica l'Italia fornisce armi ai peggiori regimi autoritari, dal Sudafrica al Salvador, che le impiegano appunto nella repressione contro i movimenti di liberazione.

Come si fa a parlare di terzomondismo o di fame nel mondo quando poi nei fatti si sostiene quest'industria bellica! Come si fa ad essere pacifisti e terzomondisti al sabato e poi il lunedi tutti in fabbrica a produrre armi?!