A+ A A-

La Fiat e l'attuazione del piano di rinascita

in Dossier, cit.

"Sul carro dei vincitori ora salgono tutti, la Fiat torna ad essere il polo politico di riferimento per il grande padronato italiano e per i partiti, non solo quelli di governo. Questa Fiat fa paura. Sotto le sapienti mani del presidente di una banca pubblica si è venuto formando in Italia un mostro di concentrazione economica privata, che fatte le dovute proporzioni non ha riscontro neppure negli Usa"

La più grande industria privata italiana nel 1976 è in crisi economica (crisi petrolifera e dell'auto) e di immagine, pesantemente coinvolta nelle trame golpiste anche se coperta dagli omissis del governo e dalle insabbiature della Procura di Roma. Tutti i governi europei si proposero di tagliare i finanziamenti all'industria automobilistica, ormai senza futuro, per favorire altri settori.

A partire dal 1976 si assiste ad un improvviso ribaltamento della situazione e la Fiat si trova al centro di un fronte vastissimo di alleanze. Il ministro delle partecipazioni statali Bisaglia, rompendo alleanze che avevano contribuito nel passato a fondare il sistema di potere Dc con Fanfani e Andreotti -Iri ed Eni- decise di ridimensionare l'intervento pubblico per favorire i privati. Infatti furono tagliati i fondi in dotazione per la siderurgia, per l'Alfa Romeo ed altri, originando quella spirale di repressione che tuttora attanaglia le partecipazioni statali. Verranno votate leggi su misura per la Fiat, con l'introduzione della cassa integrazione a zero ore e la fiscalizzazione degli oneri sociali. Agli Agnelli venne consentito di scaricare sull'Iri una serie di settori in forte perdita (acciaierie di Piombino, Aeritalia, Teksid, Grandi motori di Trieste)..Nel 1973 gli Agnelli cedettero il Corriere a Rizzoli, che oggi sappiamo iscritto a P2 e successivamente la compagnia di assicurazione Sai a Raffaele Ursini, notoriamente socio di Sindona e massone di piazza del Gesù. Nel 1976 i tre istituti di medio credito di proprietà dell'Iri -Mediobanca, il cui capo è Cuccia, massone internazionale, L'Imi e l'Icipu ai cui vertici erano banchieri P2- concessero alla Fiat il consolidamento del debito con perdite per l'Iri di centinaia di miliardi. Successivamente Cuccia "convincerà" l'avvocato ad ingaggiare Cesare Romiti, il quale diverrà l'artefice del piano di ristrutturazione della Fiat. L'azienda torinese ingaggiò anche altri personaggi quali il generale Francesco Mereu, presidente dell'Unione militare di Roma e iscritto alla P2, a dirigere il settore carri blindati ed il generale Giuseppe Giraudo a dirigere il settore missilistico, la Motofides.

Nel 1978 dopo l'assassinio di Aldo Moro, l'auspicato intervento del capitale straniero avviene e massiccio. Le autorità monetarie consentirono a numerose banche Usa di aprire filiali nel nostro paese (Manifactures Hannover trust, Inrving trust company, Wells fargo) con relativi sportelli (Security pacific). Le banche estere, tedesche americane e svizzere, dirottano i risparmi dei loro clienti verso la borsa di Milano. Tutti i titoli azionari -compresi quelli delle industrie decotte- subirono aumenti rilevanti: le Montedison salirono del 102%, le Snia 60,8%, Acqua marcia 70,8%, Rinascente 95,2%, le Fiat aumentarono del 40,5% superando per la prima volta le tremila lire. Un vero pompaggio di ottimismo nel capitalismo italiano, nel momento in cui i governi di unità nazionale entravano in crisi e l'assassinio di Moro rimetteva in moto le forze della destra dc. Nel 1979, la Fiat è nel mirino delle Br. Romiti usa la copertura del terrorismo per licenziare sessantuno lavoratori, accusandoli di essere fiancheggiatori. La risposta della Flm sarà estremamente debole, aprendo il varco alle ulteriori azioni pianificate dell'amministratore delegato.

Nel giugno 1980 -la sequenza delle date a questo punto è molto importante- Umberto Agnelli che ha intrapreso la vita politica diventando senatore dc, annuncia che alla Fiat ci sono quarantamila lavoratori di troppo e che dovranno essere licenziati. L'annuncio lascia freddi i partiti tradizionalmente alleati; Donat Cattin si esibirà in un violento attacco nei confronti di Umberto Agnelli e anche la Confindustria diretta dal dc Merloni, non appoggerà la Fiat. Il Pci che amministra Torino e la Flm ovviamente reagirono, dichiarandosi pronti ad occupare la fabbrica, mentre in tutto il movimento operaio ci si prepara a respingere un attacco giustamente considerato di valore politico generale.

Il 2 agosto 1980 alla stazione di Bologna avviene la strage: ottantacinque morti e duecento feriti. Sono note le vicende successive dell'inchiesta: contrasti tra magistrati, piste nere fasulle che portano al solito nulla di fatto. Più tardi, nel 1984, avvengono però due fatti importanti, il generale Spiazzi (Rosa dei venti) ora in pensione viene nuovamente arrestato in riferimento ai suoi movimenti a Bologna nei giorni della strage. Successivamente il giudice Sica fa arrestare il generale Musumeci del Sismi, vice di Santovito e il colonnello Belmonte e li rinvia a giudizio per "avere tentato di depistare le indagini dei magistrati di Bologna per proteggere i mandanti ed esecutori, della cui identità i due sono a conoscenza". Il generale Musumeci che nel Sismi copriva la carica di responsabile dell'ufficio "I", che non segue le vie gerarchiche ma risponde del proprio operato direttamente alla struttura dei servizi della Nato, si rifiuterà di rispondere invocando il segreto di stato. Le prove raccolte contro Musumeci, iscritto alla P2 sono schiaccianti: il 13 gennaio 1981 il Sismi confezionò una valigia con armi esplosive e vi inserì anche due biglietti di aereo Parigi-Monaco (città nelle quali avvennero attentati nel medesimo giorno di Bologna) assieme a quotidiani delle due città e fece finta di rinvenirla casualmente sul treno Taranto-Milano. Dopo la brillante impresa, Belmonte e Musumeci si presentarono al giudice di Bologna fornendo i nomi di quattro cittadini tedeschi descritti come gli autori della strage e che invece risultarono esserne del tutto estranei. A rendere evidente la montatura fu proprio il ritrovamento dei quotidiani stranieri, non in vendita a Taranto né lungo il percorso: li aveva messi a Roma il colonnello Belmonte. Ancora una volta i servizi segreti militari legati alla Nato e alla P2 sono al centro di una strage che torna a colpire dopo un periodo di stasi.

Ma torniamo alla Fiat. Pur sentendosi isolata, la Fiat decide di passare all'attacco ed a un mese dalla strage, nel settembre 1980, annuncia quindicimila licenziamenti. Il resto della storia, lo ricordiamo bene ma lasciamocelo descrivere molto efficacemente dal giornalista Fiat Giuseppe Turani che ancora nel 1984 sull'Espresso non riesce a nascondere l'ammirazione per il proprio padrone: "La Fiat marcia a ranghi compatti e a settembre annuncia quindicimila licenziamenti. E' la rivolta della Flm. La lotta dura trentacinque giorni, ma a fine ottobre i torinesi non ne possono più: migliaia di impiegati quadri e operai scendono in piazza contro il sindacato. E' la marcia dei quarantamila che segna la fine del potere dominante del sindacato, non solo a Torino. Da quel momento, la Fiat affonda il coltello nel burro: i dipendenti dell'auto passano dai centotrentasettemila del 1980 agli ottantaduemila del 1984 e ancora ne crescono. L'assenteismo scende dal 20% al 5%: il padrone fa di nuovo paura. L'autunno caldo è ormai dimenticato, non conta più".

Certamente la marcia dei quadri ebbe un peso politico determinante nella sconfitta della Flm, ma determinante è stato il sostegno economico che la Fiat ha potuto avere in varie forme dal governo (tremila miliardi). Sulla marcia dei quarantamila dobbiamo dire però che essa è rimasto un fenomeno esclusivamente torinese, è fallito il tentativo di organizzare i quadri a Milano e a Genova, nonché sul piano nazionale. E va ricordato che a Torino la Fiat ha sempre finanziato sindacati gialli dai tempi di Valletta, col golpista Cavallo e il solito Sogno ex partigiano bianco, in questo simile al leader dei quadri Fiat, Luigi Arisio. Alla fine della lotta dei trentacinque giorni, Romiti vincente lanciò un durissimo attacco alla Flm e ai partiti (con un linguaggio che il giornalista Gianpaolo Pansa della Repubblica ha definito golpista) ma anche contro la Confindustria, definendola un'associazione al servizio dei partiti.

Il 5 ottobre 1980 nel pieno della lotta Fiat e dopo la strage di Bologna, Licio Gelli nella sua arrogante intervista al Corriere a sua volta attacca la Confindustria, usando le stesse parole di Romiti. Citiamo integralmente: "la Confindustria penso che abbia solo un ruolo rappresentativo. Potrebbe fare meglio se riuscisse a sganciarsi dai carri politici"... Dopo la vittoria nella campagna d'ottobre, il generale Romiti (fervente reaganiano per sua dichiarazione) passa all'attacco degli altri obiettivi previsti dal piano di rinascita. La Fiat, superate le divergenze con la Confindustria, trascinerà tutto il padronato pubblico e privato all'assalto della scala mobile. La vicenda del decreto Craxi sul taglio dei punti della scala mobile rappresenta una applicazione da manuale del piano di rinascita, in materia di costo del lavoro e di rottura col sindacato. Ricordiamo che la figlia dell'ambasciatore Usa, Gardner, ha scritto nella sua tesi di laurea sulla politica italiana, che il decreto Craxi fu fatto esplicitamente per questo scopo. Come prevedeva il piano, puntando sulla Uil il cui segretario Benvenuto dal 1976 fa parte della Trilateral assieme ad Agnelli, e sulla Cisl che hanno firmato l'accordo sul taglio dei quattro punti dal 1984, la rottura già latente del sindacato è stata definitivamente sancita, isolando la Cgil.

Sul carro dei vincitori ora salgono tutti, la Fiat torna ad essere il polo politico di riferimento per il grande padronato italiano e per i partiti, non solo quelli di governo. Entra in azione il massone Cuccia, padrone privato di una struttura pubblica, la Mediobanca (che malgrado il nome non è una banca e neanche un istituto di medio credito e si limita a custodire novecento miliardi in titoli di tutte le più grandi società: Fiat, Pirelli, Generali, Fondiaria, Snia, Gim, Olivetti, Mondadori, Caffaro, Montedison, Snia-Bpd, Burgo, Gemina che vengono scambiati al di fuori di qualunque controllo, nei salotti della grande borghesia) e gran regista della rinascita Fiat. Nel 1983 mettendo insieme Fiat, Pirelli, Orlando e Bonomi (la cui madre Bolchini, piduista, si impegnò con Gelli, Edgardo Sogno e Calvi per ottenere la scarcerazione di Sindona negli Usa) nella Gemina e congelando contemporaneamente le azioni in mano pubblica Iri ed Eni, trasferisce il controllo di Montedison nelle mani della Fiat. Nel 1983 la Fiat, sempre sotto l'auspicio di Mediobanca, acquisisce anche il controllo della Snia, industria chimica appetibile perché produce esplosivi, missili, propellente e motori spaziali. Con questa acquisizione Fiat diventa di gran lunga la più importante fabbrica d'armi italiana, che produce dalle spolette ai sofisticati sistemi missilistici. La famiglia Agnelli dalla morte di Calvi amplierà il proprio impero industriale nel settore finanziario, acquisendo il controllo delle assicurazioni Toro, le quali controllano a loro volta il 13% della Ras.

Un altro obiettivo del piano di rinascita è stato messo a segno dagli Agnelli, complice Cuccia: il controllo attraverso l'operazione Gemina della Rizzoli-Corriere della Sera. Di fatto oggi la Fiat è il più grosso gruppo editoriale italiano: controlla La Stampa e il Corriere della Sera, attraverso Montedison il Messaggero e tramite Rizzoli in compagnia della Dc, il Mattino di Napoli. Della Rizzoli fanno parte anche due settimanali citati nel piano, Il Mondo e l'Europeo. Va aggiunto che gli Agnelli già controllavano la Fabbri editore e tramite la finanziaria Consortium sono presenti nella Mondadori. Se agli Agnelli aggiungiamo Silvio Berlusconi (anch'egli presidente nella Consortium) notoriamente piduista, dobbiamo dire che nel campo del controllo dell'informazione il piano di rinascita è stato realizzato al 100% (con il controllo della Rai attraverso il pentapartito). Va detto che l'appoggio dato in particolare dal Psi e da Craxi per la realizzazione del progetto informazione, non solo è stato determinante ma talmente evidente da essere arrogante. Si va dai decreti anticostituzionali fatti su misura per Berlusconi, all'avere dato l'imprimatur della legalità nel dibattito parlamentare in merito all'operazione Fiat-Rizzoli, palesemente fuorilegge, perché concentra ben più del 20% (massimo previsto dalla legge sull'editoria) del totale delle vendite dei quotidiani.

Nel 1984 la Fiat ha riacquistato anche il controllo della Rinascente, la marcia su Milano prosegue. A Torino le cose la Fiat le ha sistemate da tempo. Col sindaco Novelli si lavora molto bene dice l'avvocato, lo scandalo delle tangenti ha messo in crisi tutti i partiti, gli stabilimenti chiusi, rimangono da sistemare migliaia di cassintegrati passati e futuri. Anche in questo caso Fiat ha trovato l'accordo col Pci e la Fiom torinese, il governo è d'accordo, si faccia quindi una legge Fiat per il prepensionamento a cinquant'anni. A Milano la Flm si oppone, vi sono i magistrati del lavoro che più volte si sono pronunciati a favore dei cassintegrati, trascinando anche magistrati torinesi. Alla cassa integrazione a zero ore, al mancato pagamento dei decimali di scala mobile si risponde con vertenze aziendali, ove si richiede anche la riduzione dell'orario. La risposta Fiat sono i cinquecentosette licenziamenti alla Magneti Marelli, per l'80% donne. Il governo interviene a sostegno della Fiat con una mediazione ministeriale, che ai licenziamenti sostituisce la cassa integrazione a zero ore a perdere ma contemporaneamente prepara il terreno per la legge sul prepensionamento a cinquant'anni. La Fiat non anticiperà il salario ai cassintegrati, nella legge finanziaria sono inserite clausole che renderanno problematico il pagamento della cassa integrazione, le organizzazioni sindacali unite accettano i prepensionamenti. Attraverso l'uso ricattatorio del referendum, tra lavoratori abbandonati dal Pci e da Fiom e Uilm -che con un vergognoso voltafaccia hanno sottoscritto l'ipotesi governativa- si arriva all'approvazione della proposta governo-Fiat-Pci. Ancora una volta, l'azione congiunta Fiat-governo, con l'appoggio del Pci, è arrivata alla rottura dell'ultimo spezzone di sindacato unitario, la Flm milanese.

Rimane da realizzare ancora un punto di interesse politico generale del piano ed è quello della riforma costituzionale. Alla domanda di Gianpaolo Pansa "Dicono che a Romiti non piace la democrazia imbelle", l'amministratore delegato risponde "A lei piace? Ogni democrazia ha il dovere di saper prendere decisioni, di rifiutare il caos assembleare. In Italia qualche sintomo di miglioramento c'è stato. Bisogna ancora fare molto, ma c'è maggiore consapevolezza. E chi tira nella direzione giusta è più la gente che la classe politica, per questo sono ottimista".

Ha ragione De Mita, questa Fiat fa paura. Sotto le sapienti mani del presidente di una banca pubblica si è venuto formando in Italia un mostro di concentrazione economica privata, che fatte le dovute proporzioni non ha riscontro neppure negli Usa...