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Distribuito dall’editore Ediesse in Dvd, allegato al libro Brescia: piazza della Loggia curato da Carlo Ghezzi, il bel film del regista Lucio Dell’Accio racconta, con immagini e testimonianze, la strage che si consumò il 28 maggio 1974: una vicenda centrale della strategia della tensione che si fa comunemente partire dalla strage di piazza Fontana a Milano - la “madre di tutte le stragi” – ma le cui origini vengono da più lontano. Vengono dal 1° maggio 1947, dalla strage di Portella delle Ginestre, compiuta dal “bandito americano” Salvatore Giuliano e dalla sua banda, anch’essa diretta con furia selvaggia – come la strage di Brescia- contro una manifestazione della Cgil. Per ordine dei suoi padroni, spiegavano allora e soprattutto dimostravano, allineando le emersioni ed interpretandole politicamente, “L’Unità” ed il Partito comunista che, allora all’opposizione, la controinformazione la faceva davvero, e bene.

Sotto i nostri occhi sfilano sindacalisti bresciani, parenti ed amici delle vittime – Lucia Calzari ,Manlio Milani, Luigi Pinto, Franco Torri ed altri ancora- per raccontare il loro dolore, come l’hanno elaborato nel tempo, la speranza di giustizia e la delusione provata nel vedersela negare. Sfilano le immagini della ferita devastante recata alla città di Brescia ed al Paese tutto, il lavaggio della piazza con idranti, ordinato dal vice questore Aniello Diamare, che cancellò importanti tracce, prodromo di altri lavacri – meno materiali ma per nulla virtuali- cancellazioni e rimozioni tutte pregne di effetti, in sede giudiziaria come in sede storica. Sfilano le manifestazioni di protesta  dei giorni successivi che culminarono in tutto il Paese in assedi e talvolta assalti violenti alle sedi della destra – della destra tutta, a cominciare dal Msi – repressi dalla polizia in modo ancor più violento. Sfilano i funerali delle vittime e l’imponente manifestazione sindacale che vide la gente di Brescia affacciata ai balconi ad applaudire la marea dei dimostranti: i quali gridavano dolore e rabbia contro la destra e contro lo Stato che intuivano, per quanto già accaduto a Milano, aver coperto l’orribile operazione. Quello Stato rappresentato sul palco da Mariano Rumor e Giovanni Leone che non riuscirono a parlare, interrotti dal grido “via, via”. Il regista ci fa partecipi di tutto questo e si comprende, benché egli preferisca far parlare le immagini ed i testimoni, la sua condivisione di quella ferita, di quel grido.

Erano forse in errore i manifestanti, i sindacalisti, tutta quella gente? Certamente no. Essi intuirono non solo la provenienza dei bombaroli ma il ruolo giocato dalla destra, al completo o quasi, nel coprirli e nell’affiancare l’operazione di ordine e stabilizzazione che si stava sfornando. Intuirono che l’operazione non poteva che venire dagli apparati dello Stato e dal partito maggioritario, rappresentati sul palco. E però la loro giusta intuizione pian piano scivolò in qualcosa d’altro, non per loro responsabilità, scivolò in un depistaggio. Come avvenne, come mai?

Quasi tutti sanno che una bugia, per essere credibile, non deve essere un’invenzione integrale. Meglio una mezza bugia, dove verità e fandonia si mischiano così da confondere le acque. A Milano, a Brescia, a Bologna e nelle altre sanguinose occasioni che segnarono la strategia stragista, la fandonia si può comprendere immaginando fianco a fianco due lune, la prima crescente, la seconda calante, dietro cui si cela un terzo astro, brillante ma non per occhi normali, visibile per altro con un buono strumento. La luna crescente è la destra, che aspirava ad uscire dall’angolo ma al potere ancora non era e quindi più che tanto non poteva: il cui ruolo man mano si fa diventare, da comprimario che era – importante finché si vuole- ad attore principale. Quest’ultimo non poteva che essere la catena di comando – politica, militare, dei servizi – che al potere era davvero. Ecco la mezzaluna che, sera dopo sera, si assottiglia, impallidisce ed infine scompare ai nostri occhi. E con lei scompare l’altro astro che si può vedere, solo che lo si voglia, dietro di lei. Perché non viviamo nell’epoca degli Stati nazione, isolati l’uno dall’altro, ma in un paese inquadrato nella Nato il cui governo effettivo, da quasi settant’anni, non siede a Roma ma a Washington.

Era appena accaduto, il 1° maggio, il colpo di mano militare in Portogallo, che si ricorda come la “rivoluzione dei garofani”, nella vicina Spagna ed in Grecia il potere delle dittature filo- americane vacillava, l’autunno precedente era esplosa in Medio Oriente la guerra del Kippur. L’asse Usa- Israele, dominante nel Mediterraneo, temeva ripercussioni da questi eventi, come spiega Luigi Cipriani in questo sito e nel film, che riprende un suo intervento parlamentare: con lo sforzo del regista di trasformare un difettoso VHS ottenuto dalla Camera dei deputati in una sequenza più nitida (e peraltro proprio la difettosità rimanda un’immagine di altri tempi, com’è stato osservato, cioè un esempio tanto importante quanto poco seguito). Cipriani fu uno dei pochi, nella sinistra, a spiegare che il mandante interno e quello estero non si devono contrapporre ma si integrano fra loro quasi come arcate di uno stesso ponte; e che non si comprende la strategia stragista, soprattutto dal 1974, se non si vedono assieme i protagonisti di Roma e di Washington. Stragi di Stato dunque, ed allo stesso tempo stragi Nato, perché la destabilizzazione- stabilizzazione serviva ad entrambe le entità, compenetrate fra loro.

La luna calante, e l’astro dietro di lei, hanno confuso le acque fino a sparire. L’hanno fatto naturalmente con l’aiuto della destra, la luna crescente che si è difesa dalle accuse deformandosi, espungendo da sé una presunta parte “eversiva” ed accreditandosi come destra “politicamente corretta”. E poi con l’aiuto della sinistra, altrettanto naturalmente perché al potere aspirava allo stesso modo. E perché ha potuto giocare sui sentimenti antifascisti del popolo che la sosteneva e tendeva, almeno a maggioranza, ad illudersi su cambiamenti che sarebbero derivati dalla sua conquista del potere. Errore vistoso: il potere è stato conquistato anche con l’omertà e il depistaggio. L’operazione depistante si è avvalsa dell’aiuto della magistratura, fondamentale apparato statale e dunque fisiologicamente inidoneo a ferire lo Stato svelandone le responsabilità: come si fa credere invece, da decenni, ad ingenui militanti ed elettori. Lodevoli eccezioni non possono infrangere la regola.

Lucio Dell’Accio ci mostra le une e l’altra, con le fasi dell’inchiesta e del processo culminato nella assoluzione degli imputati. E ci mette in grado di capire la vicenda sostanziale e processuale facendo parlare Valerio Marchi, anch’egli recentemente scomparso, che inquadra la strage nelle vicende dell’epoca, ne smaschera le coperture ed  invita a non contentarsi della destra coperta da presunti pezzi deviati, “un’operazione che non porta da nessuna parte”; e poi Vincenzo Vinciguerra, l’analista più acuto della guerra politica per avere allineato pazientemente fatti, dichiarazioni, osservazioni sue proprie sull’ambiente della destra- non eversiva ma di Stato e Nato- che ha conosciuto dall’interno negli anni giovanili. Vinciguerra, intervistato nel carcere di Opera, spiega chi sono gli imputati dell’ultimo processo, ora tutti assolti dall’accusa di concorso in strage. Carlo Maria Maggi, partecipante al convegno dell’istituto Pollio nel maggio 1965, dove si andò delineando la strategia della tensione, non ad opera di eversori ma dei vertici delle forze armate, indicato come agente del Mossad, imputato ed egualmente assolto nei processi sulle stragi di piazza Fontana e via Fatebenefratelli a Milano; Delfo Zorzi, favorito e protetto dalla famigerata struttura coperta del Viminale, gli Affari riservati, diretta da Umberto Federico D’Amato; l’ex segretario del Msi Pino Rauti, amico e contiguo ai vertici delle forze armate; Maurizio Tramonte, informatore dei servizi col criptonimo “Tritone”, che inviava rapporti dall’interno della struttura nera insieme ad altre spie; il generale del Cc Francesco Delfino. Come potevano apparire “eversori” costoro? Sembravano piuttosto impiegati di Stato, l’ultimo dei quali a tutti gli effetti. Poteva finire diversamente da una sentenza assolutoria, il processo, come le fasi che l’hanno preceduto, potevano forse essere trovati e puniti i colpevoli?

E poteva un film del genere riuscire gradito negli ambienti mediatici e politici, anche della sinistra dalla quale il regista proviene, oramai approdata per intero al governo del paese in alternanza o insieme agli ex avversari? Sarebbe stato strano, tanto che sono occorsi al regista 8 anni per realizzare il film e per trovare, insieme ai suoi “compagni di viaggio” bresciani, un distributore nazionale. Il Dvd è allegato ad un libro, “Brescia: piazza della Loggia” a cura di Carlo Ghezzi, presidente della fondazione Di Vittorio, contenente a sua volta importanti documenti e testimonianze, compresa quella del regista che racconta il suo lavoro. Per di più si tratta di un film avvincente, emozionante, impreziosito da pezzi suggestivi quali un cameo di Franca Rame, che recita Pasolini, musiche di Brian Eno, Ludovico Einaudi, Claudio Lolli, Claudio Rocchi. Un successo dove è stato proiettato, a Brescia, a Roma. Difficile parlarne male, dunque si è scelto per lo più di non parlarne affatto. E prima ancora defezioni, finanziamenti prospettati che sono svaniti nel nulla, “antifascisti” che ostentavano di apprezzare il lavoro ma di preoccuparsi per l’intervista al fascista Vinciguerra… Un fascista che fa controinformazione da molti anni, questo è il problema vero e la causa dell’ostracismo, toccato all’intervistato come all’intervistatore, a Marchi, Cipriani, alla Camera del lavoro e alla Casa della Memoria di Brescia, a quei pochi che, colore a parte, si sono ostinati a non dimenticare, a cercare la verità ed a raccontarla. 

Leggi la scheda del libro e del film nel sito dell’editore 

http://www.ediesseonline.it/catalogo/storia-e-memoria/brescia-piazza-della-loggia

Leggi l’intervista a Lucio Dell’Accio realizzata da

http://www.archivioguerrapolitica.org/?page id=2093